L’anoressia è una malattia inequivocabile. Chi ne soffre prova un intensa paura di prendere peso, la sua autostima è strettamente dipendente dal peso. Per questo motivo adotta un regime alimentare via via sempre più ferreo. Questo disturbo colpisce in prevalenza le femmine, mentre la percentuale maschile è fra il 5 e il 10% rispetto il totale. Si tratta di una malattia subdola che ha radici genetiche evidenti ancora poco spiegate, sappiamo infatti che chi ha familiari di 1° grado con questa malattia ha una probabilità 11 volte superiore di diventare anoressico.
Nella mia pratica ambulatoriale su disturbi alimentari e anoressia, ho osservato diversi casi in compresenza del disturbo depressivo o ossessivo compulsivo o di disturbi alimentari, in uno dei genitori o persino negli zii o nei nonni.
Come sappiamo il sintomo più evidente, che porta la famiglia a sviluppare un allarme, è il calo ponderale drastico causato da una dieta ipocalorica protratta nel tempo.
Quali sono i sintomi dell’anoressia nervosa?
Oltre al calo ponderale, nell’anoressia anche il corpo emette dei segnali di allarme che alla lunga divengono preoccupanti, ma questi a volte sono più visibili agli occhi dei curanti, poiché la famiglia può fare più fatica a collegarli alla denutrizione.
Questi sono:
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l’amenorrea
(anche se nell’ultima versione del DSM ha perso il suo valore diagnostico in quanto non sempre si riscontra);
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l’osteopenia
(riduzione del calcio nelle ossa) e l’osteoporosi, entrambi derivati dal prolungamento dell’amenorrea;
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gli squilibri elettrofisici,
dovuti alla prevalenza di alcuni nutrienti rispetto ad altri, anche nei casi in cui oltre ad il cibo si rinuncia, oppure se ne usufruisce in quantità esagerata;
- la scarsa motilità intestinale e quindi stitichezza e possibilità di fecalomi;
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lo sbilanciamento ormonale
con perdita dei caratteri sessuali secondari, crescita di peluria in tutto il corpo e diradamento dei capelli;
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l’interruzione dello sviluppo sessuale
anche irreversibile (ad esempio nel caso meno frequente di anoressia infantile, l’aspetto assunto in età adulta resta invariato, altezza compresa);
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la debolezza cardiaca
con possibilità di infarto anche in giovane età.
Gli esordi dell’anoressia
I picchi di esordio sono due: verso i 12 anni (a volte anche prima) e verso i 18. Se tutto va bene il problema è notato, discusso e condiviso in famiglia e da quel punto in avanti parte la cura. Quando preso in tempo, la cura può avvalersi di uno psicoterapeuta, un neuropsichiatra ed un nutrizionista. Queste ultime due figure possono essere reperibili anche sul pubblico, mentre solitamente l’intervento psicologico ambulatoriale si ferma alla diagnosi e al monitoraggio. Piano piano si recupera peso e la persona fa tesoro dell’episodio. Il lavoro psicologico svela le dinamiche personali, sociali o familiari che hanno facilitato l’esordio dell’anoressia, e quali sono gli strumenti personali idonei a combattere un’eventuale ricaduta.
La terapia dell’anoressia: dall’ambulatorio al ricovero nei casi più gravi
Quando ci si accorge troppo tardi del disturbo alimentare, la consapevolezza del pericolo si fa schiacciante. il genitore spesso spesso porta in ambulatorio il figlio recalcitrante e pronto a venire ai patti, mercanteggiando le quantità di cibo allo scopo di rinviare la data della visita medica successiva. Chiaramente queste promesse non fanno altro che aggravare la situazione. Il peso perso a un certo punto porterà a una serie di sedute a stretto giro presso gli ambulatori del territorio per la cura dei DCA. Fino ad arrivare a un ricovero per il figlio e quindi, se si tratta di minore, per tutta la famiglia. Questo agli occhi dei genitori sembra rappresentare il passo certo verso la guarigione del figlio anoressico. Spesso però agli occhi del figlio la degenza avrà l’aspetto a metà fra un carcere e un campo di addestramento dove sarà costretto a ingrassare senza controllo.
In verità durante la degenza specialistica inizia tutto un percorso attorno al paziente, sia psicologico che alimentare. Potremmo usare come metafora l’utero materno, dove ci si prepara per una seconda volta al mondo esterno, nutriti nel corpo e nella psiche. In questa fase finalmente il genitore può sentirsi sgravato dal peso di dover “salvare” il proprio figlio, lasciandolo in mano a curanti che sanno il fatto proprio.
Il vissuto del ricovero nel paziente
Quando lavoravo in ospedale guardando le interazioni fra i pazienti appena arrivati e il resto delle persone mi veniva sempre in testa una scena da film: immaginavo che questi ragazzi giacessero immobili sul fondo di una piscina e da quel luogo così innaturale tentassero di capire le parole di chi dal bordo urlava loro di uscire.
Il deperimento del corpo da una parte porta a un distacco da tutto e tutti, ma dall’altra, quella meno visibile, porta al raduno di tutte le energie mentali per pensare al cibo e tentare di controllare la dieta.
Il vissuto del ricovero nei genitori
Nel frattempo il genitore torna a respirare per un po’ fino a quando si giunge alla data di dimissione e qui le reazioni della famiglia e del figlio possono essere davvero molto contrapposte. Se quest’ultimo può viverla come una specie di scarcerazione, il genitore può essere terrorizzato all’idea di dover gestire i sintomi di controllo sul cibo da solo. Dovranno almeno in parte ricrearsi i ritmi sicuri dei pasti che il giovane paziente condivideva assieme agli altri ricoverati e ai curanti. Inoltre è bene iniziare quanto più possibile una psicoterapia, proprio perché i “demoni” dell’anoressia sono sopiti ma non del tutto sconfitti.
La psicoterapia dell’anoressia
In collaborazione tra psicoterapeuta, medico e nutrizionista possiamo assistere al rifiorire della persona, anche se ‘occorrerà del tempo per recuperare il tempo perso.’ Voglio usare questo gioco di parole per spiegare come l’anoressia non rappresenti solo un problema sul peso, ma anche un blocco nello sviluppo psicosociale che inevitabilmente porta a un ritardo. Più tempo si è stati anoressici è più ritardo si è accumulato.
È perciò abbastanza normale assistere a crisi adolescenziali in pazienti di 20 anni e più durante la psicoterapia.
Non solo, ma anche le relazioni sentimentali spesso prima della malattia sono inesistenti, proprio perché il corpo denutrito porta a una diminuzione di libido e quindi di attrazione verso l’altro. Perciò tutto dopo la malattia risulta abbastanza nuovo e fonte di ansia.
Proprio per questo, onde evitare ricadute è molto importante concentrarsi sulle esperienze e sull’autonomia.
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